Raccolta Scritti su Società e Costume

Scritti pubblicati su quotidiani, riviste e webzine varie

Suq
Dio solo
Viaggio in Italia
Romanzo Civile
Vita e Morte
As-Salam a Leykum
Eroi
Terrore
America
Spie
Amore e Follia
Miracoli
Mille anni
No alla guerra
Comparse
Siamo soli
Il Non-Fare
L'ineguaglianza
Contro il Terrore
Bandiere
Buona Pasqua As Salaam

Virgole e Misteri
Conformismi
Gondoni
Cerchiamo Dio
Lettera a Eco
Il Passato
Embrioni
Mercato Globale
La Lingua
Anima come Ometto
Amore litigarello
Siamo soli
America
Pace c'è già
I Veri Grandi
Provinciali
Le lasagne di Prodi
Giovinezza
Lo dico a voi
La più grande manifestazione per la pace
Con la guerra

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SUQ

Quest'anno come per magia è bastata una poesia di Giuseppe Conte e il Suq è iniziato. Suoni, luci, colori e odori si impadroniscono subito dell'aria e ci trasportano lontano. Dove sono? In Marocco, Somalia o Senegal? Sono in Sud America o in Eritrea? Sono semplicemente a Genova, alla Loggia della Mercanzia, al Suq.
Grazie alle cure di Valentina e Carla, Genova per il terzo anno si può immergere nell'atmosfera del mercato arabo, o meglio come suggerisce il sottotitolo, in un festival multietnico.
Al Suq ho comprato un dolce, ho comprato una bibita e ho ascoltato lingue a me sconosciute, ma non per questo meno belle; ho incontrato due amici e visto danzare una bella donna in tunica nera.
Tutto al Suq. Al Suq c'è aria di festa e meno male che la guerra qui non risuona, è un bene per i bambini che sono tanti e allegri; è un bene che gli spari sono solo percussioni di tamburi.
Tutto al Suq. Dentro al Suq c'è la pace e tra i due minareti della scenografia si svolge lo spettacolo di noi; guardiamo, annusiamo e ci scopriamo che ci conosciamo già. Grazie al Suq.

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DIO SOLO

Non è forse per tutti, cattolici, ebrei e musulmani, lo stesso Dio? Jahvet, Allah, Dio d'Abramo e di tutti Padre? Di quel Dio, noi occidentali ne abbiamo filosoficamente decretato la morte: non poteva reggere la nostra frammentazione in parole, desideri e lussi. Troppo unico e solo. Ad oriente, per l'Islam, invece Allah resiste con uno schematismo che fa perdere e si sta perdendo. Il paesaggio e l'unificazione della parola (l'arabo del Corano) sta mutando, l'appartenenza non fa eletti e il regno dell'al di là vacilla: non ci saranno vergini a soddisfare i martiri della Jihad.
Alla fine se noi occidentali siamo il paese della sera, dove il sole di una grande civiltà tramonta, gli altri non sono l'alba di una nuova. Siamo come tanti vecchi pronti al suicidio; vecchi come il Dio con la barba, immaginato saggio e invece tanto simile a noi nella stoltezza.
Allora non ci resta attendere che mille dei riappaiano dal lungo sonno; essi daranno vita a mille simboli, mille miti e valori. Mille dei ritorneranno a dispensare grazie e rinsaldare la spiritualità persa. L'uomo nuovo del terzo millennio ha dovuto constatare quanto poco basti per far riscoprire l'uomo cannibale, l'uomo egoista, l'uomo legato al sangue, alla tribù, alla famiglia...L'uomo monoteista, ateo e materialista. Questo Dio unico e solo contiene oltre tutto il bene del mondo anche tutto il male. Quale bene supremo potremmo reggere se non conosciamo il male? Quali vette scaleremmo se non guardiamo gli abissi? Cerchiamo di rassicurarci e consolarci con le nostre verità. Ma sono domande che difficilmente trovano risposta: Allora non un Dio ma tanti dei ci possono aiutare- salvo poi ritornare a Lui, al Solo. Ritornare a Dio in maniera nuova.

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VIAGGIO IN ITALIA

Ho visitato la mostra al Ducale: "Viaggio in Italia". Il "viaggio", per attraversare 4 secoli, dura solo qualche ora e con la giusta predisposizione spirituale, si ci immerge in un itinerario di grande bellezza.
Io di più, per questo viaggio ho inforcato gli occhiali o meglio ho proseguito con un ininterrotto "metti e leva" per dare modo, ad una presbiopia incalzante una miopia, di mettere a fuoco la lunga teoria di quadri, didascalie, sculture e manoscritti; insieme svolgevo anche il balletto di due passi avanti e tre indietro per trovare la giusta luce sulle opere. Ma perché per il paese del sole un percorso nel nero? Forse il nero dà più rilievo all'uscita dei colori, alla concentrazione, all'introspezione...Ma poi? Poi forse è entrare in un sogno notturno dove compaiono nostri antenati dal '500 in su. Qualcuno, tra questi volti, può riconoscere la bisnonna, lo zio o un cugino lontano; ma no, i nostri antenati non erano così ricchi: lo si intuiva dagli abiti, poi erano emaciati, scarni, quelli raffigurati sono pingui e in carne. Però: come sono moderni. Chi ci prende per mano, per questo viaggio, sono grandi scrittori, uomini d'ingegno e allora anche senza televisione quante cose si riusciva a vedere; quante cose si imparava a guardare; per quante cose c'era inaspettatamente tempo. Ed io, nel "Viaggio in Italia" ho guadagnato due ore.

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VIRGOLE E MISTERI

Con l'Euro ritornano i centesimi, ritorna un antico valore. Nella nostra economia erano già da tempo spariti i centesimi e per "arrotondamento", in verità erano sparite anche i decimi, le decine. Con l'Euro inizia così un nuovo tempo e un nuovo ciclo: conteremo i centesimi di denaro, di valore e per simbologia - perché no?- di ricchezza, di energia. Con i centesimi rispunta nei conti la virgola, un intermezzo, una sospensione, che mi pare oggi, più che mai necessaria. Dietro quella virgola ci starà la differenza, la più varia. Dopo quella virgola potremo contare il risparmio o il guadagno meglio di prima e, sempre per simbolo, rimarcare la diversità di un senso uniformante.
Paradossalmente, con l'Euro e l'introduzione dei centesimi, spariscono altre differenze: le tante monete europee. Franchi, Marchi, Lire, Pesetas e Dracme: nomi, segni e suoni vari verranno riassunti da un unico segno e suono dell'Euro. Ma, noi della Lira, avremo la virgola mancante.
A proposito ho provato a dividere le 50.000 Lire per l'Euro ed è uscito 25virgola822...sono ritornato indietro e mi è risultato 49.999virgola998. Dove è finito lo 0virgola02? Dietro la virgola anche il mistero...

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CONFORMISMI

C'è un conformismo che è dato dall'uniformità dei comportamenti propri di una società consumistica e regolata dalle leggi di mercato. Questa uniformità, pare a me, anch'essa regolata dall'entropia o seconda legge della termodinamica che afferma come tutti i processi fisici che sviluppano calore vanno in una unica direzione: dall'ordine al disordine.
Così il calore delle passioni, delle lotte, dei sentimenti viene stemprato in un crogiolo dove tutto fonde e sfuma. Così abbiamo una società sempre più disordinata ma omologa. E' un pò come mescolare delle palline bianche e nere facendole diventare tutte grigie. Questo è il grigiore della cultura d'oggi. All'apice si candida per "salvarci" da questa società, un campione del conformismo dilagante ed è probabile che vinca. Vincerà, forse, un campione della televisione, un campione degli spot; lo stesso che detta le regole di convivenza e ci fornisce anche il prodotto - produttore per applicarle. Infatti oggi si fa paradossalmente il processo alla volgarità televisiva per nascondere la volgarità del pensiero unico che predica la libertà e pratica la censura; vuole la legalità perseguendo i disgraziati senza permesso di soggiorno e non chi ruba in giacca e cravatta a tutti noi con i falsi in bilancio.
Non so chi veramente alla fine ci salverà. Forse sarà un marziano: sarà un uomo che non riesce a leggere la pubblicità; sarà un uomo che viene da lontano, che ha attraversato il deserto e non conosce più il linguaggio di questa società.
Ma a pensarci non di salvatori abbiamo bisogno, ma di interrogazioni, di silenzio e di verità. Abbiamo bisogno di inventarci una nuova società, senza questi protagonisti; pensarla senza di loro è già un fatto che ci fa uscire dall'uniformità: diventiamo nuove palline colorate che sfuggono al fuoco e vanno controcorrente.

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GONDONI

A Genova si usa l'epiteto "gondone" al pari di canaglia o mascalzone.
Il "gondone" ha origine dal "condom" il comune preservativo: il tubetto di gomma da calzare prima di un rapporto sessuale. Eppure il gondone ha salvato delle famiglie ed ora preserva soprattutto dal contagio dell'AIDS.
Eppure, il gondone , è anch'esso condannato dalla chiesa cattolica; però meno male che non è stato oggetto di obiezione di coscienza da parte dei farmacisti come la "pillola del giorno dopo".
Forse perchè è usato solo dai maschi? Non è al pari della pillola che regola il ciclo mestruale e anch'essa negata dalla chiesa?
Con un pò di informazione si saprebbe che la "pillola del giorno dopo" è la stessa "pillola del giorno prima". Allora? Scopriamo negli obiettori soltanto dei peccatori che ci vogliono salvaguardare dai nostri peccati. Vogliono impedire, a dir loro, di assassinare, di uccidere la vita umana.
Dicono, ma quanta vita si uccide e si è ucciso con la miseria? Con l'ignoranza? Con il ritenersi dalla parte di Dio? Gott mitt uns? Non uccide anche l'intolleranza? Per i cattolici alla fine con un "PaterAveGloria", tutto si perdona, tutto ricomincia e tutto si ricompatta.

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CERCHIAMO DIO

Come mai ci sono nel nostro corpo così tanti retaggi, ricordi, segni di un tempo passato? Abbiamo ancora una reminiscenza caudale, i muscoli per muovere le orecchie, i muscoli piliferi (quelli che vediamo quando diciamo di avere la "pelle d'oca". Portiamo con noi tantissime "scorie" che solo Darwin ci può spiegare e far considerare giustamente. Certo che se Dio ci avesse fatto "ex novo" avrebbe usato ben poca fantasia e, se fatti con una sua eventuale somiglianza fisica, anche con spaventevoli limiti. Ma tra tutti questi segnali che ci riconducono agli animali che eravamo e che continuiamo ad essere, quelli più manifesti sono i caratteri sessuali: ma è possibile non avere trovato altro sistema che la copula animale per farci godere e riprodurre? Così è proprio l'atto sessuale e la forma dei genitali che più ci accomuna alla specie animale e ci identifica nei mammiferi in particolare. Anche le mammelle, che pur ci aggradano come richiamo sessuale, ci fanno sentire la vita al pari dei nostri simili caudati. Eppure per quello strano gioco degli opposti, proprio nella sessualità nasce la nostra trascendenza, ovvero la capacità di elevarci con un pensiero superiore. Proprio nell'atto più animale possiamo trovare il divino. Ho trovato per questo, bellissimo l'aforisma di Zavattini: "Se ghe la figa, Dio al ghè".
Nell'orgasmo sessuale ognuno così non è più "io"; si avverte la sensazione di volare via, di andarsene anche se spesso si traduce l'orgasmo in un "venire", in un "muoio", "sto morendo". Queste frasi sovente accompagnano la vertigine dell'orgasmo. Si tocca "l'altro mondo", i confini della propria carne sono cancellati. Nel rapporto sessuale la ricerca di unità, definita erotismo, ha qualcosa di nostalgico, la forza sessuale di ritornare ad una situazione precedente, oserei dire primordiale. Con l'atto sessuale sperimentiamo nel corpo un'originale origine. Nasciamo e moriamo in questo cosiddetto orgasmo. Riusciamo ad essere animali e uomini insieme; riusciamo a fare esperienza superiore di un atto primitivo.
Il replicare, il ricordare, e ricercare di continuare questo orgasmo scandisce il tempo vitale con diverse e personalissime misurazioni. Nell'elenco degli stimoli e delle sensazioni vitali, intese come funzioni fondamentali, la soddisfazione di quello sessuale è il più antico e meno evoluto. Ma la trascendenza entra proprio in questo campo facendoci scoprire l'amore. Il paradosso di una forza sessuale, vitale, per costruire la relazione del senso e della domanda ultima: chi siamo? Forse ancora niente: da troppo poco tempo abbiamo perso la coda e da ancora meno abbiamo scoperto l'amore.
Viviamo ancora il breve tempo di un semplice orgasmo: lo stesso orgasmo di una idea che ci porta fuori. Viviamo sempre nella ricerca di quel qualcosa che ci appaghi al di là del momento. Ecco, cerchiamo Dio.

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LETTERA A ECO

Sulla terra siamo tanti e siamo diversi, addirittura siamo unici: siamo individui che continuiamo a cercarci. Poi succede di essere condizionati, uniformati attraverso la programmazione parentale. Questa programmazione parentale, avviene nei primi anni di vita e successivamente con la lingua parlata e la relazione sociale si passa al copione culturale che ci rende simili, ci fa dichiarare uguali o ci fa dividere in gruppi per idee, per credi religiosi o politici, à stili di vita e convinzioni più varie. Alla fine, con le treccine, gli occhi a mandorla, i labbroni o i riccioli, ci possiamo pure dividere tra nord e sud, tra est e ovest, ma nell'intimità, nei sentimenti, nei sogni, ci scopriamo semplicemente e solo esseri umani. Uomini che cercano amore.
E' così che si può scegliere di vivere nel Monferrato o una zona arida del Gobi; si può scegliere di stare su una barca a Hong Kong o chissà dove, solo perché lì vediamo lo spirito che ci ama e ci protegge. Pensiamo il nostro bene.
La nostra storia è nell'esperienza degli avvenimenti irripetibili e individuali. La nostra costruzione è nella riscrittura degli accadimenti attraverso la memoria e il racconto. E' questo senso letterale che dà corpo all'anima e alla memoria. E' la parola che ci definisce; con essa entriamo in un tempo della "cultura", che è il tempo della nostra malattia. E' il tempo della parola ed è una parola dire tutto ciò. Quanta storia c'è nel tramandarla, nel cercarla. Infatti come è stato possibile arrivare a distinguere il soggetto dall'attributo e il verbo dal nome? La nostra realtà diventa una misteriosa sintesi tra nome e forma. In ciò scorgiamo il bene e il male, il bello e il brutto; così definire o essere definiti può essere il nostro destino.
Il riflesso tra storia individuale e storia collettiva è della stessa stoffa, dello stesso elemento narrante, le stesse parole, le stesse drammatiche vicende: guerre e pace. Ecco la storia può essere uno dei modi in cui l'anima medita e riflette la vita; la storia diventa psicologia, incontro tra il "nostro" e il "di tutti". Ecco io credo che la psicologia sia il grande elemento unificante al pari del mito e dei simboli per riconoscere gli uomini.
Chi siamo allora? Chi siamo se non le radici? Le radici allora diventano semplicemente la storia: sono le radici del racconto; le radici sentite di parole, di bene acquisito nel tempo.
Le radici diventano confuse, sono altro della storia, sono altro da noi. La storia collettiva è una ' )cultura che ci soverchia. L'uomo sociale e l'uomo interiore si mescolano e ritorna ogni volta il dubbio sulla libertà e sulla tenuta morale dello spirito. Così si "mischia" il "tempo profano" della storia collettiva" e il "tempo sacro" della nostra storia individuale. Il nostro è un tempo sacro dettato dal mito e dagli dei: è questo sentire che si fa esperienza e ci forma l'anima: è questo stesso sentire che in fondo dovrebbe rendere relativa, se non inutile, ogni appartenenza, ogni crociata, guerra ) e superiorità.
Questo tempo e questa storia dovrebbe insegnare; dovrebbe aiutarci a vedere nella penombra per ritornare a cogliere il vero senso del peccato che è quello di invecchiare e morire senza sapere di noi, senza acquisire consapevolezza. E' forse per questo peccato allora che con una oscura "coazione a ripetere" continuiamo a fare guerre, a tramandarci la miseria e questa storia. Continuiamo le radici, le radici del vivere oggi: oggi in città, oggi fermi e chiusi negli antichi e soliti schemi, pur con molti mezzi per muoverci; pur con tante possibilità per sapere.

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ROMANZO CIVILE

In questa estate di vacanza, dove una meteorologia pazza ci tiene lontano da spiagge e piscine, si può trovare il tempo per leggere libri diversi. Per questo vorrei consigliare ai lettori di WEMA, la lettura di un piccolo libro: "Romanzo civile" di Giuliana Saladino edito da Sellerio. "Romanzo civile" è il racconto di una profonda amicizia tra l'autrice e Calogero Roxas, chiamato Rocchi- morto per tumore nel 1980 all'età di 53 anni- e della Sicilia del dopoguerra alla prova del riscatto di contadini e sottoproletari. Con la morte di un amico, Giuliana Saladino, ci racconta insieme, in modo toccante, anche l'agonia dell'impegno morale e civile, lo spegnersi dell'intelligenza, tra l'ironia e l'amarezza, per non riuscire ad incidere in quella sicilianità piena di fatalismo: lei, con il marito e gli amici, ci aveva provato con tutte le forze; aveva militato nella sinistra con mille battaglie, come giornalista, capace cronista dell'"Ora" di Palermo. Malgrado ciò, bisogna ricordare che l'autrice, morta nel 1999, è stata anche una delle protagoniste della primavera palermitana ed ideatrice delle "lenzuola bianche" stese ai balconi contro la mafia. Ma quella Sicilia degli anni '70 - '80, quella sicilianità, non è anche l'Italia? Scrive la Saladino: "Capisco che non esista cittadina o villaggio d'Europa che possa vantare - senza golpe, senza eserciti in armi, né assedio e irruzione entro le mura - tanta distruzione e carneficina: l'intero establishment politico burocratico militarpoliziesco massacrato: capo della procura, vice questore, capo dell'opposizione, capo della regione, medico legale, generale, prefetto [...] Perché ciò accada impunemente, senza che scoppi una guerra civile, senza che si ritenga tutto concluso con solenni funerali, occorre consenso di massa interiore profondo: può darsi che senza saperlo e senza volerlo noi siciliani, pur esecrando e manifestando, consentiamo in fondo con la mafia, modello vincente, borghesia nascente?" (pp. 142-143). La Saladino risponde amara, lucida e spietata: siamo siciliani mafiosi e senza rimedio... Qui io vi trovo l'attualità e la pregnanza: non è forse, quella Sicilia di ieri, anche l'Italia di oggi? Questa è la lettura civile di un romanzo che è poi intriso di sentimenti d'amicizia e di morte...Come poteva mancare la morte come fatto privato? "L'assenza" una poesia di Borges, che conclude il libro nella Postilla delle figlie Giuditta e Marta, ne suggella il senso per chi rimane: "...La tua assenza mi circonda come la corda la gola, il mare chi sprofonda".

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VITA E MORTE

Mi sono imbattuto in un libro nell'affermazione del direttore della ricerca tecnologica della Netscape: "Non c'è ragione perché la morte debba avvenire". Ma siamo sicuri? Sarà vero? Vincere la morte è solo questione di scienza tecnologica? Io penso che tutto, anche la nostra felicità, si rapporta ai limiti che abbiamo. La morte ci fornisce la dimensione principale di questo limite. Certo nessuno vorrebbe essere un Titone: la condanna a vivere sempre annienterebbe con il tempo, la gioia e la bellezza. Già lo vediamo nel come ci affanniamo nell'inseguire il tempo breve di un orgasmo. Se non ci fosse il limite per quale ragione ci muoveremmo? Se avessimo tutti solo un inizio perché dovremmo amarci? Non ci sarebbe la Storia e la nostra vita sarebbe molto triste perché si scoprirebbe un saggio che non sa ridere; un saggio che non invecchia per morire o per sapere, ma solo per durare. Ma già ora abbiamo una possibilità per estendere la vita: far vivere i sogni, conoscere di più, amare di più. La nostra vita poi, si è allungata sconfiggendo molte malattie. Poi senza accorgersene la vita si è estesa: pensate di quante generazioni possiamo andare a ritroso; oggi abbiamo sempre più strumenti che supportano la memoria; abbiamo scritti, foto, video. La nostra vita si allunga, regalando, se ne siamo capaci, memoria ai figli.
Ma vi è già qualcosa di immortale nell'uomo, è nel come trasmette i suoi caratteri, le sue forme, la capacità di riprodursi e proiettarsi nel tempo: l'idea stessa dell'uomo. Questo germoplasma che dà continuità alla specie è qualcosa d'immortale. Queste pulsioni vitali che accompagnano l'uomo sono la forza per superare il tempo. E' nello scontro tra la vita e la morte che procede l'immortalità.
C'è, a mio parere, anche in tutto questo la ragione perché la morte debba avvenire e non sarà certo la tecnologia a sconfiggerla. La tecnologia fa aumentare oltre che le capacità umane le sue illusioni; forse anche la speranza.

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IL PASSATO

C'è qualcosa di sottile che ci divide: è il rapporto con il passato. La malattia di oggi, di questa Italia che ha votato a destra ma pensa a sinistra, è la perdita della memoria collettiva e un benessere materiale acquisito troppo in fretta. In sostanza, in pochi anni si sono conquistati solo beni materiali: dalla scodella d'acqua fresca al frigo doppia porta e doppia altezza; dalla '500 al 2000 con turbo iniettore, multicavalli. Si potrebbe obiettare: è il progresso, è la tecnologia che avanza, è la conseguente evoluzione dei paesi industrializzati; ma c'è una conseguente crescita di coscienza? C'è una ulteriore consapevolezza di essere privilegiati? Da una parte sì, insieme c'è più coscienza dei diritti, della tutela ambientale; ma dall'altra non si è riusciti, esercitando una rimozione collettiva, a trasmettere il valore delle giuste proporzioni dei beni avuti.
Se solo tornassimo indietro di tre o quattro generazioni, scopriremmo un'Italia povera e contadina raccontata dal bellissimo film di E. Olmi: "L'albero degli zoccoli". Quel mondo, pervaso da un fatalismo cattolico e da un'aspirazione laica di riscatto sociale, ci ha portato, attraverso le guerre, il fascismo e la democrazia, ad essere quello che siamo oggi.
Ma è possibile allora dimenticare il nonno e poi non sapere del padre, per superarci dall'essere figli, oggi senza domani? Pare così. Oggi abbiamo una diversa memoria del passato: o è negato, o è santificato; o è tutto cattivo o è tradizione immutabile. Ma chi siamo allora? Con quello che ci rivela l'Istat, con i dati del censimento, si fa fatica a riconoscere l'Italia e gli italiani. Siamo fuori dagli schemi. Ma l'Istat parla di cose, di situazioni oggettive; soggettivamente siamo al buio: siamo genitori in crisi di figli che non sappiamo educare, non sappiamo cosa testimoniare proprio con le regole del passato. Eppure basterebbe dare ascolto a ciò che sappiamo da sempre, ascoltare noi stessi, non agire spinti da stereotipi, da automatismi o condizionamenti sociali. Agire con un sapere che c'era anche nel passato, dove ogni figlio manifesta una nuova coscienza, una dimensione critica. Nel rapporto con i nostri figli non possiamo avere scuse, ci mettono a nudo, ci conoscono intimamente: non sono infatti usciti dalle nostre viscere? Non possiamo barare. Eppure a vedere come va il mondo, qualcuno bara.

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AS-SALAM A LEYKUM

"As-salam a leykum" (la pace sia con voi), così saluto quasi ogni giorno il marocchino, all'angolo della via, che mi risponde "wa alaykumu salam..." (con voi la pace- un altrettanto) portandosi la mano sul petto. Ormai è un'abitudine. Il saluto islamico è un augurio di pace e il Corano ne stabilisce le regole; ma mai come in questo periodo ha assunto così tanto valore.
Quando spingo i miei passi un pò più avanti, incontro anche una zingara ed un barbone a loro allungo le mille lire: faccio conto di pagargli un caffè che aggiungo al mio. Ormai loro fanno parte della mia giornata. Queste persone sono sconosciute alle assistenti sociali, ai servizi, ma formano ormai una realtà sempre più presente nella città; sono le facce dell'immigrazione, dell'esclusione e della povertà; sono volti che si dimenticano presto, vengono rimossi. Altre facce ci sorridono e le sentiamo amiche: sono il giornalaio, il barista, il fornaio; con loro scambiamo impressioni diverse: parliamo di sport, del tempo e del "governo ladro"... Intanto, in città, il Natale si avvicina e riesce a creare diverse atmosfere, saranno le musiche e le luci dei negozi: pare che dobbiamo essere, in questi momenti, contenti quasi a forza. Ma oggi c'è una guerra che ci coinvolge. Oggi ci scopriamo cattolici e musulmani, mai come ora siamo costretti a convivere con le situazioni più diverse. Il Natale da sempre è momento di pace, di concordia e l'occidente con la sua forza è riuscito a farne una festa mondiale. Così alberi addobbati, babbi natale, presepi, festoni, tacchini, lasagne, panettoni e regali riempiono ogni dove. "Buon Natale", così ci scambiamo tra noi, l'augurio e il saluto. Buon Natale è nato Cristo, ripetiamo la notizia del nostro divenire cristiani. Cristo ci ha fatto fare il più grande salto all'umanizzazione e la sua nascita dovrebbe ricordarcelo e nell'augurarci Buon Natale; c'è l'auspicio alla nostra capacità di poter nascere uomini nuovi. Ogni volta almeno, lo diciamo.
Domani sono sicuro che al mio "Buon Natale" risponderanno ugualmente il marocchino, la zingara e il barbone. Buon Natale va da sé la pace. Poi con Cristo ci scopriamo anche come parte della stessa unità. Ogni volta almeno, lo speriamo.

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EROI

Rivedendo le gesta di Giorgo Perlasca in TV, raccontate nel libro di E. Deaglio con il titolo "la banalità del bene", mi riporta a quanto ho ascoltato da Gino Strada quando è venuto a Genova.
Strada ha detto che quando la normalità del curare, dell'aiutare, dell'operare diventa una emergenza allora c'è qualcosa che non va; egli non si sente un eroe come non lo si sentiva Perlasca. Infatti la cosa che accomuna, sotto un certo aspetto Strada a Perlasca, è la domanda: "Voi cosa avreste fatto al mio posto?". Già, cosa avremmo fatto noi? Avremmo fatto quello che è normale per la nostra umanità? Quando cadono le bombe e dei ragazzi rimangono feriti, sia a Kabul che in qualunque altra parte, che differenza c'è? Non li avremmo aiutati? Quando una mano si abbatte per ferire o discriminare chiunque, non è normale girarsi per non vedere.
L'eroe a me pare un verbo del passato o una dimenticata desinenza: dopo "are", "ere" e "ire" c'è sto' "eroe", che torna sempre a rammentarci quello che succede e non dovrebbe succedere.
"La banalità del bene" si contrappone alla "banalità del male" che Hannah Arendt aveva descritto parlando di Adolf Eichmann: un perfetto burocrate, un impiegato modello come tanti che si dichiarano leali, fedeli e senza un proprio pensiero. Di questa "normalità", di questo conformismo che piace ai potenti, che lo sono di armi e di denari, ma non di autorità morale, dovremo stare sempre attenti. Allora per dirla con Bertold Brecht: "Felice il paese, che non ha bisogno di eroi!".

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TERRORE

Ho sempre più dubbi che la guerra e l'enfasi patriottica possa sconfiggere il terrorismo.
In Italia abbiamo conosciuto il terrorismo mafioso, rosso e nero con bombe, rapimenti, barbare esecuzioni. Abbiamo guardato negli occhi questi terroristi, si chiamano Riina, Brusca, Mambro, Moretti, Fioravanti, Curcio, Rossi...Hanno nomi e cognomi come i nostri e io li ho odiati. Non riuscivo a tollerare che in nome di una loro giustizia o verità, si decretassero pene di morte, si commettessero vili assassinii. Quale società si vuole nel nome del terrore? Chi ha paura di un pensiero libero?
Poi rifletto e pur non trovando nessuna giustificazione per seminare il terrore, vedo morti per fame, morte di persone, che non dispongono di un dollaro al giorno, che vengono bombardati da bombe intelligenti che ne costano migliaia, morti sul lavoro; vedo ingiustizie determinate dai potentati economici che sovvertono la politica. Se io fossi un afgano qualunque e perdessi genitori e figli sotto le bombe, cosa farei? Potrebbe essere che diventi un terrorista per placare il mio odio: seminerei dolore pensando di sollevare il mio. Si, in ogni cuore può albergare il terrorismo e proprio quelli che invocano giustizia e libertà duratura, quelli che additano i pacifisti come terroristi, lo possono diventare ed essere loro stessi: ne hanno tutte le premesse; la cultura, i pensieri e le ragioni come me. Non ci sono civiltà esenti dal terrorismo. Cosa vuol dire allora fare guerra ai terroristi? A chi uccide insensatamente? Perché c'è forse un senso nell'uccidere?
Continuiamo a tirare in ballo Dio, tirarlo dalla nostra parte ogni volta che vediamo l'ingiustizia, ma non siamo capaci a costruire la giustizia.
Vince nella società d'oggi chi è più forte e chi più ha; può difenderla chi non ha ne forza ne altro? Ci sbattono in faccia la democrazia come se fosse una dittatura della maggioranza, un'investitura a comandare dettata dai numeri, ma non si avverte la cultura dell'imposizione mediatica da chi ne detiene la proprietà dei mezzi? Certo che aumenta, per una sorta di evoluzione di pensiero e di consapevolezza, l'individuazione di sempre maggiori storture e ingiustizie. Se ci analizziamo e pensiamo bene, la guerra allora dovremmo dichiararla a noi stessi.
Per questo penso che la guerra dichiarata contro il terrorismo vuol dire semplicemente che la guerra è una condizione permanente: cambiano le armi, cambiano i mezzi, cambiano le tecnologie ma senza conoscere l'egoismo, senza interrogarsi sulla sua vera natura, l'uomo non saprà trovare la strada verso l'amore, la pace e la felicità; l'uomo sarà sempre in guerra contro se stesso.

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EMBRIONI

Nei giorni scorsi Papa Wojtyla ha chiesto il riconoscimento giuridico per l'embrione umano. Ma l'embrione è un essere umano? Alcuni scienziati lo riconoscono, altri no.
Ma l'embrione è un individuo? Questo è uno dei paradossi cattolici: guardate quante discussioni per dare l'opportunità a fare un trapianto ad un clandestino; ma non è un uomo?
Ho letto, molto tempo fa, un libro di Renato e Rosellina Balbi, "Lungo viaggio al centro del cervello". Questo libro analizzava l'evoluzione in rapporto alla legge di Haeckel, ovvero alla teoria secondo la quale nella vita intrauterina (prima della nascita) e per un periodo dopo la nascita, ciascuno di noi passa attraverso gli stadi percorsi dall'antenato dell'uomo; si ricapitola la vita che ha portato all'uomo: siamo passati attraverso invertebrati, cordati, pesci, anfibi, rettili, mammiferi, marsupiali, insettivori, roditori, carnivori, primati. La teoria evoluzionista è ormai accertata ed è acquisito che l'uomo rappresenta la sintesi della vita animale. Se analizziamo tutto ciò alla luce di questa evoluzione, l'embrione corrisponde all'uovo fecondato: è il livello zero mentre al livello uno siamo allo stato di un celenterato. Allora, secondo quanto sostiene il Papa, mi posso chiedere se quando mangio delle uova in realtà mangio dei pulcini?

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AMERICA

Io continuo a pensare, per onestà intellettuale e con una analisi attenta, che nessun uomo non può non essere grato all'America; con questo non intendo l'America come Stato ma come entità di frontiera culturale e di valore ideale. Poi non può non dirsi americano nessun nato in questa parte del mondo. La grande forza omologatrice, lo script culturale del suo "way of life" condiziona tutti. Quindi tanto antiamericanismo è anche una inconscia condanna alle nostre colpe, un inconsapevole autodafé. Io ho constatato poi la grande forza livellatrice del suo cinema: noi da ragazzi diventavamo tutti piccoli cow boy contro gli indiani; poi con la variazione dei copioni diventavamo altri campioni, che ne so, poliziotti, detective, giornalisti...Ancora oggi abbiamo i figli che giocano con gli eroi del suo cinema. Teniamo presente che l'America non ha creato una nuova civiltà ma ha solo accelerato, radicalizzato e fatto progredire la civiltà del Vecchio Mondo, l'Europa. In America confluivano i diseredati, gli straccioni, i più poveri europei che non dimenticavano le loro rispettive patrie e origini; anzi le leggi e i costumi continuavano. La Common Law, inglese, continuava a regolare la vita dei nuovi abitanti. L'America infine è arrivata ad estendere il concetto di Libertà come diritto personale accompagnandolo al rivoluzionario perseguimento della propria felicità: questo lo ha scritto nella Dichiarazione d'Indipendenza nel 1776 (13 anni prima della Rivoluzione francese). Se ci pensiamo un pò scopriamo quanto era rivoluzionario, scrivere in una Costituzione, il diritto a ricercare la felicità in un mondo acquisito come "valle di lacrime". Per questo io continuo la gratitudine. Certo poi c'è l'America delle grandi contraddizioni: con gli uomini più ricchi e più poveri del mondo; con le più grandi possibilità e le più grandi paure; l'America della pena di morte e con la più alta delinquenza; l'America dell'intelligenza tecnologica che ha camminato sulla Luna e della grettezza intellettuale della sua provincia...L'America che difende la libertà e poi arma i dittatori più spietati: ha armato lei Saddam Hussein, Osama Bin Laden, Pinochet, Fujimori solo per citarne qualcuno...Insomma nell'America noi ci specchiamo. Sempre per lei diventiamo eroi e meschini sudditi e, nel gusto caramellato dolce di una Cola, consumiamo questi anni in una storia di tramonto di una civiltà. Sì, perché l'America alla fine è il paese della sera, il luogo dove tramonta il sole, la frontiera finale della nostra civiltà.

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MERCATO GLOBALE

Siamo ad un punto cruciale. Con la cosiddetta globalizzazione, che altro non è che l'affermazione del mercato unico, il mondo ha davanti a se sempre più squilibri economici. Sembra che tutti i problemi siano di carattere economico, ma l'uomo per raggiungere la giustizia e la pace, ha bisogno di eguaglianza e non del profitto esasperato. Si sono accumulate ricchezze che possono comprare stati, governi, magistrati, eserciti; così tutta la vita viene sempre più intesa con una logica mercantile. E pensare che già Aristotele con il termine "crematistica" aveva condannato il profitto come fine.
I soldi poi mal sopportano la morale; perciò la politica che è sempre più invasa dal denaro, cerca sempre di svincolarsi dall'etica. Meno male che poi basta anche un solo magistrato a invocare resistenza che la speranza di cambiare rinasce. Poi da sempre la criminalità e la finanza sono andate a braccetto. Ma perché si commettono la maggior parte di crimini se non per avere più soldi? Siamo giunti in Italia a dare il potere ad un ricco esagerato con la credenza e l'illusione che ci faccia ricchi tutti. Certo che alcuni lo diventeranno e lo sono già diventati, ma giocoforza diverranno più poveri in molti. "Mors tua vita mea" è sempre l'adagio che regola l'economia di mercato. La stessa democrazia diventa un'arma per perpetuare i crimini cui basta una maggioranza per fornirsi un'etica del "giusto prezzo", che è ingiusto invece per chi lo subisce.
Quale può essere allora la strada per un mondo diverso? Un'altra economia; una economia di famiglia, di quartiere, di paese. Una economia che sia attenta al luogo che, paradossalmente in un mondo che si apre, salverebbe l'uomo. Perchè comprare un prodotto che fanno a Pittemburgo ( per fare un esempio) solo perché costa meno invece che sotto casa dove c'è la solidarietà Ora vorrei meditare sulle parole di un economista, William Baumol:
"Abbiamo solo bisogno di guardarci attorno per osservare l'angosciante evidenza del grave danno prodotto al nostro mondo dalla proliferazione dell'industria e siamo tutti coscienti della spiegazione ovvia: la ben fondata analisi dei fallimenti del mercato. Le imprese private tenderanno a produrre in eccesso qualsiasi attività i cui costi privati sono inferiori rispetto al costo in termini di danno prodotto nei confronti della società. Tuttavia esiste anche una forza superiore trascurata dalla storia, ed essa riguarda il ruolo della competizione. Perché è la competizione che lascia poche alternative agli imprenditori e agli uomini d'affari oltre a quella di inquinare e danneggiare l'ambiente nella misura massima consentita. Sappiamo che un mercato attivo, effettivamente competitivo previene ogni comportamento che comporti spreco, dove spreco venga definito come “non arrecante guadagno. Così la competizione tende a proibire il supporto alle arti, il supporto all'ambiente e la prevenzione di altre forme di spreco che rendono la vita degna di essere vissuta. La competizione dunque non offre alle imprese alcuna libertà di agire in modo tale da preservare l'ambiente. La competizione punisce ogni gesto prosociale come spreco, e lo fa senza pietà e senza quartiere”

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LA LINGUA

Attraverso le parole, il nostro parlare, si capisce quanto si ci confonde nella massa; quanto si ci voglia sentire uguali per proteggerci. Ci proteggiamo con infiniti luoghi comuni, con stereotipi e soprattutto con frasi fatte. Già all'inizio di molti discorsi si capisce subito dove vanno a parare e con l'incipit diffuso di un "voglio dire" ecco che si dice; ma cosa? Niente, solo banalità.
Si ripete quel senso comune che è diventato altra cosa del buon senso, ma del già sentito e già detto: sentito sicuramente in televisione, di solito da un personaggio del salotto mediatico. Così non si ascolta più chi è controcorrente, non si conosce più la critica intelligente. Oggi per distinguersi bisogna diventare "veline"; sparare cose ovvie, ma così ovvie che paiono originali. Oggi ha ragione chi vince; si ci consegna alla violenza e la retorica della guerra è accompagnata da quella religiosa con l'esposizione del crocifisso. C'è formalismo e cavillosità leguleia unite a sorrisi furbi e battute svilenti.
Ma sono brutti momenti? Direi di no, anche se c'è una caduta della lingua; anche se avanza la mediocrità morale e spirituale, c'è pronta una risalita. Insomma siamo sempre pronti alla guerra per poi maledirla. In fondo poi esce la nostra vera essenza che non può essere per mille ragioni servile e obbediente: un lampo di carità verso noi stessi spegnerà il "voglio dire" per quanto è già stato detto. Allora si ricambierà.

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SPIE

Nella lotta al terrorismo, specialmente dopo i fatti del'l1 Settembre 2001, si sono raggiunti aspetti sempre più in contatto con la nostra vita quotidiana. Si sapeva da anni della potenza elettronica visiva di occhi che dal cielo scrutavano le persone, le auto, gli spostamenti di truppe; ricordo che già negli anni '70 qualcuno sosteneva di satelliti che sapevano leggere un orologio da polso a un cittadino dell'ex URSS. Si sà poi come la notizia del disastro di Cernobyl, del 1986, sia stata anticipata dalle foto di un satellite americano. Ora dopo la visione, c'è chi propone l'ascolto e la lettura dei messaggi telefonici e telematici di tutta l'Europa. Quello che lascia perplessi è l'esistenza di un possibile potere segreto che, con mezzi elettronici tipo Echelon, riesca a entrare nella vita di ogni singolo uomo. Ma che tipo di potere è questo? In fondo poi, io penso che tutto passi al vaglio di una persona, un altro singolo uomo, che pur manovrando strumenti sofisticatissimi verrà demandato il controllo finale e quindi il giudizio. Quanto potrà un fatto del genere determinare le scelte e il futuro dei popoli? Pensare e credere in questo potere occulto è per certi versi renderlo possibile. Una sorta di gioco del gatto con il topo: io costruisco trappole e tu devi stare attento a non entrarci... Ma gli spioni, paradossalmente, sono stati da sempre i garanti dei potenti. Quando si firmano accordi internazionali sugli armamenti, il loro rispetto viene affidato alle rispettive spie e apparati di controllo. Già, gli accordi tra i potenti non si fanno mai sulla fiducia reciproca ma sulle successive capacità di investigazione. Allora ecco che alla fine vale di più una spia che Bush: infatti non ci salvava sempre 007? Prossimamente io potrò sempre dire al telefono che vorrei vedere morto un tale B. Chissà se busseranno alla mia porta per arrestarmi...Intanto ho un legittimo sospetto: i potenti rispettano la legge? Le mie "spie" dicono di no. Resta la speranza che non sia il terrorismo a punirli.

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ANIMA COME OMETTO

Da quando il selvaggio ha dato senso alla natura vivente che si muove gli ha posto dentro un piccolo animale, l'animale dentro l'animale, l'ometto dentro l'uomo: l'anima.
L'anima come ometto e Dio come uomo. Da quel momento la somiglianza tra l'anima e l'uomo è così stretta che vi sono anime grasse e anime magre come i corpi. L'anima diventa il carattere, diventa quello che è più nostro e vero. L'anima così ci costringe a portare sempre in avanti la conoscenza e la consapevolezza. L'anima non invecchia o meglio pur seguendo il corpo e sentendo la stanchezza, ci spinge a portare a compimento quello che di noi rimane inespresso: ci spinge ad essere quello che siamo. Quest'anima si dice, ci sopravvive, quando moriamo abbandona il nostro corpo e si trasferisce chissà dove: all'inferno, in purgatorio o in paradiso? Non si sà ma certo l'anima sopravvive e seppur con noi ha avuto un inizio, pare non abbia fine.
Ma forse in verità, l'anima non inizia con noi, ci viene trasmessa dagli innumerevoli antenati che ci hanno preceduto; ci è stata solo prestata, è la testimonianza di un pensiero che decide che ne sarà della terra e dell'esistenza. Facciamola vivere quest'anima volendole bene e quest'ometto, la parte più preziosa di noi, parlerà anche quando il nostro corpo non ci sarà più. Ascoltiamolo già ora questo ometto, parla con noi dicendoci quello che è giusto fare, ci aiuta a non sbagliare.
Dimenticavo di dire che alla fine solo il bene si tramanda; la parte cattiva è del momento, è il contingente, la smania, l'ignoranza, l'inconsapevolezza di essere di più del proprio ometto.

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AMORE E FOLLIA

Come facciamo a sapere se siamo più vicini al bruto o al saggio? Basterebbe vedere se siamo mossi più dal potere o dall'amore. Se agiamo mossi dal vantaggio personale, per salvarci o avere un proprio piacere, soddisfare un desiderio personale, allora c'entra il potere.
Se seguiamo l'amore ci diventa naturale sentirci in armonia: si dona con gioia il tempo, si ci scambia i sogni, si ci divide il pane e poi toccarsi, stringersi, è la conquista giornaliera più forte. A vedere da fuori gli innamorati li riconosci subito: appaiono folli.
Eppure se seguiamo l'amore diventiamo anche saggi poiché ci conciliamo con ciò che ci succede. La saggezza è l'unione dell'amore e della necessità, dove i sentimenti sono liberi di riversarsi nel nostro destino. Ma noi oggi siamo persi molto spesso in labirinti dove le strade sembrano tutte uguali, già conosciute, per questo nessuno sà più di essere un bruto o un saggio. Oggi il male pare una necessità e l'amore un incontro fortuito; ma non è così e per fortuna qualche folle ci dà la saggezza dicendo no al potere.

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MIRACOLI

Ho visitato tempo fa a Firenze il museo di Marino Marini, uno scultore tra i più rappresentativi di questo secolo. Nelle ossessionanti rappresentazioni del cavallo e del cavaliere, c'è un gruppo di sculture che porta il titolo di "Miracolo". Queste sculture ricordano la folgorazione di Saulo sulla via di Damasco ed esprimono, per Marini, l'idea del miracolo. Scrive l'autore: "I cavalieri che cadono rappresentano i miracoli; l'idea del miracolo è la loro distruzione…Chi vuole andare in Cielo non sta bene in nessun posto, cerca spazio, invece cade". Il Cavaliere nel momento della tragedia umana scopre un senso: è pronto a rinascere. Il miracolo è il mistero di un potere ultraterreno che scende così profondamente nelle nostre viscere da ribaltare la tragedia: si supera con esso la morte. Questo dovrebbe essere il miracolo, la sua forza, la sua poesia. Il miracolo spiazza la nostra vita, è segno di una simultanea illuminazione. Prima c'era la tenebra, dopo la luce; la grazia di Dio, ha bisogno della scena della strada, di luci, di voci e tutto diventa bello.
I miracoli annunciati di lacrime, di apparizioni, di sofferenze autolesioniste di improbabili stimmate, non hanno nessuna forza né poesia, nessun segno divino: sono solo segni pagani, di regressione, ritorni al buio di una fede che ha solo miracoli da annunciare e non destini da conoscere e cadute da rialzare. Il miracolo di Marini ha anche una forma e queste non sono certo macchie di sangue su un volto di madonnina o sulle mani di un frate di nome Pio

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AMORE LITIGARELLO

"L'amore non è bello se non è litigarello", così dice un proverbio. Ma si può amare litigando sempre? A vedere certe coppie parrebbe di sì; con uno stillicidio sono sempre a rimproverarsi, a non tollerare l'uno niente dell'altro, a riprendersi anche per un nonnulla. Ma questo più che amore è un odio cordiale, è un surrogato per provare come gli innamorati amano. Come avviene allora il loro continuo stare insieme? Se si allontanassero forse scoprirebbero il fascino dell'amore, scoprirebbero quanto l'uno manchi all'altro...ma è difficile anche questo.
Così si ha l'impressione che bisogna continuare a litigare piuttosto di sentirsi soli, piuttosto di sentirsi ignorati, piuttosto forse di amare veramente, che non è sopportare, tollerare, ma semplicemente donare senza paura la propria intimità.
Ma trovarsi in disaccordo è naturale, l'amore è un incontro tra due individualità che è giusto mantengano la loro unicità e diversità, ma a questo punto forse ci necessiterebbe una scuola di bisticci, di litigate. Bisognerebbe imparare a discutere, a far valere le proprie ragioni, le proprie aspettative senza trascendere, senza perdere la stima, senza aggiungere parole come pugnali, parole che uccidono.
Poi esiste il rovello di chiedere l'amore, di non darlo e quello di non sapere inventarlo. Poiché l'amore ci vuole creatori, ci vuole pronti alla fantasia, ci vuole come strani bambini che non chiedono giocattoli, ma sanno inventare giochi nuovi: giochi dove è facile perdersi, come perdere le biglie di vetro colorate, le biglie della fantasia che corre sulla sabbia di una domenica di sole al mare.
Detto questo poi una buona litigata ci potrà fa scoprire quanto è forte l'amore. Allora si potrà scoprire anche quanto si ce la farà a stare insieme o a separarsi. Detto questo allora l'amore può essere anche litigarello ma, soprattutto il nostro bene.

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MILLE ANNI

Ci sono paesi dell'Africa e del mondo in cui non si riesce a comprendere le diseguaglianze, non si conosce ne la ricchezza ne la povertà: si vive come se tutta l'umanità fosse raccolta in quel luogo; chi vi nasce non conosce o ha modo di sapere di altri mondi. Allora guarda con occhi ingenui, spontanei, nei nostri occhi e non chiede altro che un sorriso ed è quello che lui ti dà. Quello sguardo, quello scambio, può contenere mille anni di storia e fa comprendere a noi, che pare da soli li abbiamo attraversati, quanto poco valgano, quanto poco ci hanno dato, quanto poco abbiamo compreso e vissuto. Quegli sguardi, che si trovano in certe parti isolate del mondo, sono sovente di bambini; sono bambini nuovi. Il mondo inizia ogni volta con un bambino; allora viene da pensare: quanti bambini abbiamo corrotto, abbiamo perso, abbiamo lasciato in questi mille anni. Un po come l'ambiente della Terra di cui si parla oggi: malato, offeso, sfruttato, umiliato...Ora in cielo appare una grande nuvola marrone, ma non porta acqua: porta tutte le nostre colpe nell'aria e fa piangere tutti i bambini del mondo.
L'unica ricchezza è ancora oggi un bambino e l'unico peccato è sempre insegnarli a vivere come noi. Oggi mille anni dopo.
Ma ogni bambino porta con sè la speranza, ne diventa carne e spirito; ogni bambino poi non è una tabula rasa, porta con lui un pò del nostro destino e anche non volendo insegnargli tutti i nostri peccati, lui proverà a farli. Ma siamo noi diventati adulti a non riconoscerli, a non sentirci bambini nuovi sebbene sotto lo stesso sole e la stessa pioggia oggi di mille anni dopo.

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SIAMO SOLI

Siamo individui ma non siamo individuali, siamo soli ma non siamo separati. Il nostro Io può essere il solo nostro pensiero ma non la nostra vita. Così disputiamo su tutto e su tutto abbiamo delle opinioni personali così da dividerci e renderci antipatici o simpatici secondo le circostanze. Tutto questo pare per sentirci individui in una società uniformante e condizionante; tutto per continuare anche le antiche divergenze su Dio e la religione. Così abbiamo tutti un'opinione e un pregiudizio, una divergenza o una aspirazione; tutti abbiamo un'idea sulla guerra e sulla pace, sulla patria e il mondo. Tutti insieme siamo qualcosa con in comune i sentimenti; ma il nostro difetto maggiore è che ragioniamo per categorie: ci sentiamo occidentali, cristiani, ebrei, americani. Vogliamo e abbracciamo la razionalità come ragione e verità dimenticando quanto mistero e stupidità ci accompagna.
Tutto poi prosegue nella contraddizione tra lo stare insieme per non sentirci soli e l'essere soli proprio perché individui. La solitudine è il prezzo della nostra unicità.
Sì! È dall'essere soli che comprendiamo il dono della vita e dell'amore. Non dall'isolamento, non dall'abbandono si comprende l'unità e la partecipazione alla comunità che ci salva, ma dal sentirsi soli. Detto questo continuo a non capire le differenze tra l'Islam e i cattolici, tra gli ebrei e gli scintoisti; insomma tra gli uomini divisi per categorie. E' nell'essere soli che ci troviamo di fronte a Dio e ancora frutti divini. L'unica categoria è l'essere uomini.

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AMERICA

Io continuo a pensare, per onestà intellettuale e con una analisi attenta, che nessun uomo non può non essere grato all'America; con questo non intendo l'America come Stato ma come entità di frontiera culturale e di valore ideale. Poi non può non dirsi americano nessun nato in questa parte del mondo. La grande forza omologatrice, lo script culturale del suo "way of life" condiziona tutti. Quindi tanto antiamericanismo è anche una inconscia condanna alle nostre colpe, un inconsapevole autodafé. Io ho constatato poi la grande forza livellatrice del suo cinema: noi da ragazzi diventavamo tutti piccoli cow boy contro gli indiani; poi con la variazione dei copioni diventavamo altri campioni, che ne so, poliziotti, detective, giornalisti...E ancora oggi abbiamo i figli che giocano con gli eroi del suo cinema. Teniamo presente che l'America non ha creato una nuova civiltà ma ha solo accelerato, radicalizzato e fatto progredire la civiltà del Vecchio Mondo, l'Europa. In America confluivano i diseredati, gli straccioni, i più poveri europei che non dimenticavano le loro rispettive patrie e origini; anzi le leggi e i costumi continuavano. La Common Law, inglese, continuava a regolare la vita dei nuovi abitanti. L'America infine è arrivata ad estendere il concetto di Libertà come diritto personale accompagnandolo al rivoluzionario perseguimento della propria felicità: questo lo ha scritto nella Dichiarazione d'Indipendenza nel 1776 (13 anni prima della Rivoluzione francese). Se ci pensiamo un pò scopriamo quanto era rivoluzionario, scrivere in una Costituzione, il diritto a ricercare la felicità in un mondo acquisito come "valle di lacrime". Per questo io continuo la gratitudine. Certo poi c'è l'America delle grandi contraddizioni: con gli uomini più ricchi e più poveri del mondo; con le più grandi possibilità e le più grandi paure; l'America della pena di morte e con la più alta delinquenza; l'America dell'intelligenza tecnologica che ha camminato sulla Luna e della grettezza intellettuale della sua provincia...L'America che difende la libertà e poi arma i dittatori più spietati: ha armato lei Saddam Hussein, Osama Bin Laden, Pinochet, Fujimori solo per citarne qualcuno...Insomma nell'America noi ci specchiamo. Sempre per lei diventiamo eroi e meschini sudditi e, nel gusto caramellato dolce di una Cola, consumiamo questi anni in una storia di tramonto di una civiltà. Sì, perché l'America alla fine è il paese della sera, il luogo dove tramonta il sole, la frontiera finale della nostra civiltà.

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NO ALLA GUERRA

Anche se la guerra oggi sembra diversa, la si decide come sempre: contro il cattivo, contro l'odiato nemico. Poi la guerra dichiarata si guarda in TV. Per noi diventa un fatto distante anche se vicino, non si ascoltano le sirene d'allarme, si continua a vivere uguale. Per questo anche nel '40 in Italia c'era ancora l'allegria; si entrava in guerra contro la Russia, la Francia e l'Inghilterra con l'enfasi di essere i prossimi vincitori. Anche allora c'erano i cattivi, pensate un pò volevamo andar a comandare in Russia: noi poveri pierini con scarpe di cartone e fucili che s'inceppavano. Poi in breve tempo cambiò tutto e la guerra che portavamo in case lontane ci arrivò nel portone; ci portò via figli e ideali, strappò bandiere e divise, finché non arrivarono gli americani che erano partiti come nostri nemici. Allora poi si trovarono tutti a gridare viva la pace, viva la pace. Ma è bastato poco e si è tornati in guerra: c'è un terrorista cattivo che, si dice, dispone armi cattivissime e micidiali; prima si chiamava Milosevic, poi Osama bin Laden ora Saddam Hussein domani chissà, ma state certi che un nome si troverà. Gli faremo vedere noi che siamo bravi e forti; siamo anche preventivi ovvero ci muoviamo prima, ma muoviamoci sempre dico io, perchè è facile stando fermi finire nel mirino. In questo mondo fatto così, di terroristi ne nascono tutti i giorni. Così andiamo alla guerra per far morire, per fare eroi, vittime e vincere. Ma io sono un cretino e dico semplicemente alla guerra: no. Fatevela voi la guerra al nemico e ricordate quanto speculare è il male; guardate quanto assomigliate a Saddam che un giorno era vostro amico. Io sono un cretino, che è una derivazione di "cretienne" ovvero cristiano, di piantar croci e poi d'esporle io non voglio più.

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PACE C'E' GIA'

Il grande uomo d'affari reputa un'ingenuità l'onestà e la morale. Come si potrebbe applicare la morale a delle scelte di comprare? E poi vendere bisogna, e a chi se non li si convince con qualche bugia? Così va il mondo pare e così succedono le guerre. Ma chi non s'ha da far di conto in economia potrebbe soccombere; così vince chi s'ha fare gli affari; così è giusto, così è la legge del libero mercato. Dove vanno allora i bei pensieri, i sogni di un mondo felice?
Questi sogni tienili per te solo: per la tua coscienza, per la tua cultura e la tua morale. Quella paga un prezzo che non ha valore, non ha commercio, quella solo vale in fondo. Se crede alla pace, l'uomo d'affari deve per prima fare la guerra. Per te, che non devi comprare e vendere, la pace c'è già.

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COMPARSE

Ogni regime, ogni potere ha i suoi cantori, la sua corte di bei signori. Tutti fan da scenario, sono la quinta della tragedia storica; sono la parte pubblica che svolge la funzione di invitati, di comparse per girare la scena del copione. Di loro si saprà tutto, vestiti, amanti, piccoli vizi e qualche virtù a compensare la nullità dell'esistenza. Secondo la moda ognuno sfoggia la presenza di una invidiabile "linea" con l'aria di "essere arrivato", di aver fatto un buon colpo; niente che susciti uno sforzo intellettuale. Le frasi più comuni sono: "Come ti trovo bene". "Guarda quella come si è sciupata". "Sei ingrassato". "Hai visto? E' arrivato?". Un vezzo di questo ambiente è coltivare personaggi e caratteri che sono dati poi al pubblico. Perciò descriversi fra loro con garbo e talento e qualvolta inserendo piccole maldicenze, vuol dire coltivare la frivolezza e la mondanità...
Intanto come passatempo si consumano riti e cerimonie come una festa di beneficenza per la ricerca sul cancro. Per farsi vedere, ecco una buona occasione ed eccoli riuniti nella comparsata in tv. Macché bravi? Sapete cosa hanno versato? Il rimborso spese della partecipazione alla festa, ossia si sono pagati la pubblicità.

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I VERI GRANDI

"Fargli prendere un bus affollato": questo sembrerebbe la vera condanna ai potenti. Mi ricordo che Grillo lo disse per Craxi nel momento dell'incriminazione per le tangenti. Ora, a vedere come hanno ridotto la città e come si muovono i cosiddetti G8- che in sostanza sono piccoli rappresentanti di un potere evanescente- mi sembra la giusta contropartita. Inviterei i G8 a farsi un giro a piedi senza scorta e senza sorrisi di circostanza tra la gente comune ovvero i veri grandi: quelli che li sopportano.
Chi comanda è sempre "l'argent". Comunque la paura domina tutto e più si è ricchi e potenti più si ha paura. Più si pensa di possedere le cose, più si ha la paura di perderle.
Lunedì scorso ho stretto la mano a Gian Carlo Caselli; lui ha condotto a Palermo una vita blindata e continua tutt'ora: il suo nemico era ed è la mafia, la criminalità più crudele e radicata che c'è e lo ha fatto per lo spirito di servizio alla nostra Italia, in difesa dei valori di civiltà e democrazia. Là aveva un senso ma per Bush, Berlusconi, Jospin ecc. che senso ha? Essi incarnano il buono come il peggio e blindandosi rimarcano un potere che non è ne libero ne democratico. Li invito a passeggiare con noi, oggi, come forse lo faranno da pensionati tra qualche anno.

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PROVINCIALI

Il provincialismo che affligge gli italiani, paesani antichi d'antica fame, si avverte anche nei politici diventati autorità, ministri che lo paiono per grazia ricevuta o meglio per vincita alla lotteria. In questo perfino Napoleone era proprio italiano quando alla sua incoronazione disse, rivolto al fratello: "Se ci vedesse nostro padre!".
D'altronde non si tradiscono le origini e le nostre sono proprio di paese e seppur questo si chiamasse Milano o Torino; là c'è un rione, c'è una porta che ci conosce tutti, ci sono muri che ci hanno visti nudi. Allora si ha ben voglia di indossare un bel vestito alla moda, quest'ultima potrebbe prescrivere anche una parure di scimmia, e allora si mette per rimarcare indifferenza e un tempo che corre oltre. Così si è provinciali indossando una cultura senza ironia per sentirsi sempre poveri malgrado tutto. Ma a quel tempo la povertà aveva sapore e il denaro guadagnato permetteva una modesta vita. Ora tutto il denaro che si vede è circondato dal sospetto del furto e dell'imbroglio; d'altronde permette cose di cui non si ha bisogno e questo ruba l'intelligenza, la cultura come ricchezza. Cambia così l'essere provinciale, quella parvenza di saggezza, ma non il provincialismo che non tollera problemi di coscienza.
Oggi abbiamo così i "nuovi ricchi", i provinciali che si vedono in TV; li vediamo sorridere contenti mentre noi (in pochi) si pensa al saio delle virtù.

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SIAMO SOLI

Siamo individui ma non siamo individuali, siamo soli ma non siamo separati. Il nostro Io può essere il solo nostro pensiero ma non la nostra vita. Così disputiamo su tutto e su tutto abbiamo delle opinioni personali così da dividerci e renderci antipatici o simpatici secondo le circostanze. Tutto questo pare per sentirci individui in una società uniformante e condizionante; tutto per continuare anche le antiche divergenze su Dio e la religione. Così abbiamo tutti un'opinione e un pregiudizio, una divergenza o una aspirazione; tutti abbiamo un'idea sulla guerra e sulla pace, sulla patria e il mondo. Tutti insieme siamo qualcosa con in comune i sentimenti; ma il nostro difetto maggiore è che ragioniamo per categorie: ci sentiamo occidentali, cristiani, ebrei, americani. Vogliamo e abbracciamo la razionalità come ragione e verità dimenticando quanto mistero e stupidità ci accompagna.
Tutto poi prosegue nella contraddizione tra lo stare insieme per non sentirci soli e l'essere soli proprio perché individui. La solitudine è il prezzo della nostra unicità.
Sì! È dall'essere soli che comprendiamo il dono della vita e dell'amore. Non dall'isolamento, non dall'abbandono si comprende l'unità e la partecipazione alla comunità che ci salva, ma dal sentirsi soli. Detto questo continuo a non capire le differenze tra l'Islam e i cattolici, tra gli ebrei e gli scintoisti; insomma tra gli uomini divisi per categorie. E' nell'essere soli che ci troviamo di fronte a Dio e ancora frutti divini. L'unica categoria è l'essere uomini.

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LE LASAGNE DI PRODI

Se la politica è la giusta difesa di interessi collettivi, fatta alla luce del sole, nello scontro tra le diverse ragioni per arrivare ad una sintesi di governo che garantisca una convivenza civile, io ho scelto. Ho scelto Prodi. Se invece la politica è un'arena dove si scontrano delle persone per poter imporre i loro interessi e le loro ambizioni personali, allora ho scelto lo stesso. Ho scelto Prodi.
Prodi è il giusto antagonista di Berlusconi. Se non c'era bisognava inventarlo. Prodi è uno come noi. Berlusconi è come tanti vorrebbero diventare e questo non è una garanzia. Da Berlusconi ci si aspetta i miracoli, da Prodi ci si aspetta il giusto. Berlusconi va in aereo e il elicottero, Prodi va in pullman e in bicicletta. Berlusconi mette l'ansia, vuole tutto e se non ci riesce pare faccia i capricci. Prodi mette calma; è pacioso, informale e determinato per cose fattibili. Berlusconi è tipo da "nouvelle cuisine". Prodi è per lasagne e tortellini. Berlusconi è tra la Coca Cola e la spremuta di pompelmo. Prodi è tra il lambrusco e il sangiovese. Berlusconi è tra un "creme caramel" e una "banana split". Prodi è tra un profiteroles e il castagnaccio. Berlusconi è la "Ruota della Fortuna" e la tintura per capelli, come l'amico Fede. Prodi è una camicia sudata e un cappello di giornale come l'amico muratore.
Un peccato però l'hanno in comune: ci hanno nascosto la Nutella, alias Gorgonzola, alias Cornetto Algida, alias Amaro Averna, alias il Gusto Pieno della Vita, alias un pò di piacere trasgressivo e un pò di sogni: sono la nostra realtà.

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IL NON FARE

Oggi prevale la cultura del fare. Il fare è tutto: è il nostro lavoro ed è quello che parla di noi più di altro. Il fare diventa quello in cui ci identifichiamo; con quello che facciamo ci rapportiamo con gli altri e di più costruiamo le convenienze sociali. Attraverso il fare spesso recitiamo ed entriamo nei ruoli di un ordinamento sociale che non esprime assolutamente quello che siamo in realtà. Noi non siamo quello che facciamo, quello che abbiamo fatto o faremo, noi siamo altro.
Anche a me piace il fare, anzi per me il fare è manualità, è costruzione fisica, è creare oggetti, cose, forme; quindi il fare per me è importante. Il mio fare lo collego alle mani, con queste penso traduciamo il sapere, la vita e ritroviamo il senso di essere u-mani.
Detto questo ho poi sperimentato quanto è importante il non fare. Il non fare ci introduce alla riflessione, ci prepara alla capacità di ascoltare noi stessi e interrogare la coscienza; il non fare ci mette in rapporto con la nostra essenza facendoci capire quanta energia sprechiamo con il fare, quanta energia sottraiamo al lavoro su di noi. Certo che arrivare al non fare, non è semplice. Il non fare non è ozio o far nulla, è lo stacco dalle cose, è sperimentare la coscienza del "qui e ora" del corpo, delle emozioni, del pensiero non perchè questo esser coscienti ci porti 'a capire qualcosa', ma perché la coscienza stessa deve essere ristabilita, essa è parte di quello che siamo ed è una parte alla quale è dato stare al centro del nostro essere. Ma si è addormentata, è sopraffatta dal nostro "fare". Si potrebbe anche immaginare il non fare come il punto zero, il vuoto o il niente, teorizzato da Pearls per la psicologia della Gestalt; ebbene questo non fare potrebbe essere la vera medicina per i mali di oggi. Provate allora a non assillarvi di lavoro, provate a fermarvi. Provate a lasciarvi andare e ascoltare quelle domande che provengono da dentro di voi; se ascoltate vedrete che arrivano anche delle risposte...Ah la natura, con quanta indifferenza crea senza il nostro "fare". E se insieme al buongiorno ci augurassimo anche un bel non fare?

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L'INEGUAGLIANZA

"Le distinzioni politiche portano necessariamente a distinzioni civili. L'ineguaglianza crescente tra il popolo e i suoi capi si fa sentire anche tra i privati, e si modifica in mille modi secondo le passioni, le attitudini e le circostanze. Il magistrato non potrebbe usurpare un potere illegittimo senza farsi delle creature a cui è costretto a cederne qualche parte. D'altro lato i cittadini si lasciano opprimere solo in quanto trascinati da una cieca ambizione, e poiché guardano più a quanto sta al di sotto che quanto è al di sopra di loro, il dominio diviene loro più gradito dell'indipendenza e accettano di portare catene per poterne imporre a loro volta. E' molto difficile ridurre all'obbedienza chi non cerca di comandare, e il più abile politico non riuscirebbe ad assoggettare uomini che non volessero essere che liberi; ma l'ineguaglianza si diffonde con facilità fra anime ambiziose e vili, sempre pronte a dominare o servire quasi indifferentemente a seconda che sia per loro favorevole o contraria". ("Sull'origine dell'ineguaglianza" di J.J. Rousseau - 1754).
Sono passati circa due secoli e mezzo e tutto è ancora attuale, come la nostra psicologia e il nostro malessere. Ancora J.J. Rousseau, conclude come l'ineguaglianza sia sancita per istituzione nei popoli: "...come un fanciullo comandi un vecchio; un imbecille guidi un saggio e che un pugno di uomini nuoti nel superfluo, mentre la moltitudine affamata manca del necessario".
Nel frattempo ci sono state rivoluzioni, guerre mondiali ma poco è cambiato. Aggiornando solo un pò il pensiero di J.J. Rousseau si potrebbe concludere che forse per garantirci il poco che abbiamo tolleriamo per alcuni il molto; continuiamo a vivere come servi. La politica come giusta e sana difesa degli interessi collettivi per arrivare ad una sintesi di governo, ovvero a conciliare lo scontro delle diverse ragioni con una convivenza civile, ci dovrebbe garantire con l'infelicità anche la possibilità di cambiare. Ma a me non sembra, i diritti e i privilegi persi da chi si sente potente se li ripiglia. Tutto procede uguale e questa è l'uguaglianza concessa. Magari si chiamano libertà vecchie sopraffazioni, si chiama democrazia il restare sudditi, si aggiustano nomi per vecchie fratture...devoluzione...E se rovesciassimo i valori con una nuova uguaglianza? Non nel possesso di cose ma di consapevolezza? Forse si potrebbe superare l'ineguaglianza di questa cosiddetta democrazia: tra chi può e non sa volere e chi sa volere ma non può.

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GIOVINEZZA

Ho sentito dire che la giovinezza termina all'improvviso, come un sogno. Occorre in quel momento essere forti poiché tutto diviene remoto. Si ci accorge di parlare del tempo trascorso, di risistemare gli oggetti mossi, di ricordare uno sguardo e sentire un lamento. Ecco, è allora che ti accorgi come la giovinezza sia passata in un momento e la vecchiezza che segue non finirà tanto facilmente; è iniziata una battaglia che ha già il vincitore e per questo ora tutta la vita mente.
Lo so, ormai ho i miei anni però posso dire di non sapere quando è finita la mia giovinezza. Sarà per questo che mi sento sempre giovane e mi dico che l'anima non invecchia. Mi sento a volte come un bambino, ho sempre il bisogno di carezze. Sono gli estremi della vita e nella foto appena scattata c'è una buffa smorfia, questa sola è stata immortalata. Poi rivedo le foto della mia infanzia, le foto di una giornata di giochi nel parco: ecco ancora rivedo la smorfia; rivedo il broncio per un giocattolo sottratto...E' lo stesso broncio, lo stesso sentimento. Che la giovinezza sia arrivata e sia scomparsa nello stesso momento? Quello che ci frega è che si cambia aspetto, non si ci riconosce più nel fisico; ora si sentono gli acciacchi. Non ci piacciamo più; però non è che una volta mi piacessi. Sognavo i divi dello schermo e con quelli in testa camminavo per la strada e meno male che non incontravo specchi. Ma non bisogna disperare. Mai. C'è stato insegnato, a noi cattolici, che si risorge con l'anima e il corpo; e quale corpo può rivestire in modo giusto l'anima che abbiamo? Statene certi è un corpo giovane, come l'anima appunto. Possiamo collocarla nei 20 anni o giù di lì. Che bellezza. Eppure sarà un'altra fregatura: che ne faremo del corpo senza il diritto di invecchiare ancora? Che vita sarà senza il permesso di sciupare un corpo per goderne sapori e fatti? Coraggio, allora ci sarà la vecchiezza da ricordare.
Un paradosso per capire che l'anima è senza tempo.

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LO DICO A VOI

Lo dico a voi, non fatemi vedere un'altra guerra.
Non raccontatemi bugie per convincermi che è meglio sparare bombe,
che c'è bisogno di uccidere il nemico.
Bastasse un colpo, solo quello, lo avete già battuto.
Le canne fumanti sono per i vivi; se sono un uomo di oggi,
sono per voi "ancora quello della pietra e della fionda".
Eppure solo ieri si festeggiava il nuovo millennio cristiano,
si diceva che ormai tutto ha fatto il suo tempo.
E' proprio così? C'è davvero bisogno di lucidare le ali maligne dei bombardieri?
Lo dico a voi, non fatemi andare ai campi: non fatemi rincontrare Abele.
Lo dico a voi che disponete del potere,
a voi che comandate le legioni,
lasciate l'occhio per occhio e il dente per dente.
Date una ragione per vivere: date la pace.

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CONTRO IL TERRORE

Per i terroristi come armi di distruzione di massa sono bastati un brevetto da pilota e alcuni aerei di linea. Per i terroristi la morte è una missione e la guerra una benedizione. Si può per questo accontentarli mettendo una divisa al crimine?
Tutti sappiamo che alla base del terrore ne esiste uno ulteriore. Può servire mostrare l'inferno a chi ha già perso tutto e si è votato a morire? La guerra sarebbe questo, mostrare il peggio al male.
Potrebbero venirci in soccorso gli antichi proverbi della Bibbia, ma si sa Cristo ha cambiato tutto fuorché il potere e chi lo detiene: questi sono uomini di una ambizione infinita e al nostro servizio preferiscono decidere missioni storiche, si pensano Re, si rinfacciano tiranni.
Poi un terrorista con il tirannicidio ci porterà giustizia. Allora basterà un solo proiettile per proseguire un'altra distruzione di massa. (15 febbraio 2003) Testo insieme a "Lo dico a voi" nel mio volantino distribuito a Roma alla manifestazione per la pace

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LA PIU' GRANDE MANIFESTAZIONE PER LA PACE

Una manifestazione incredibile, mondiale, formidabile per partecipazione fisica, emotiva e morale. Una manifestazione che lascia ben sperare…
Un amico sosteneva che politicamente mai nessuna manifestazione passa senza risultati: "La lotta paga sempre", mi diceva. Erano quelli gli anni delle lotte sindacali; le lotte per i contratti e le riforme, lotte che hanno fatto diventare l'Italia una delle nazioni più civili del mondo. Ora a vedere quante persone, e soprattutto gioventù, è presente alla manifestazione per la pace di Roma e del mondo, del 15 febbraio 2003, si può ben sperare in un mondo migliore. Se poi andiamo un po' più a fondo sulle motivazioni che hanno spinto così tanti a partecipare, si scopre anche una nuova consapevolezza: continuare a vivere come facciamo oggi non è più pensabile, la costruzione della pace e il suo mantenimento passa da qui. Questa presenza, peserà ulteriormente sulle decisioni che dovranno prendere i governi. Il fatto che i sistemi democratici si reggano sul consenso, sulla volontà popolare, inciderà nelle scelte; poiché nessun potere, che si definisce democratico, potrà non renderne conto, nell'assumere decisioni contrarie, alla maggioranza dei cittadini.
Questa è stata la più grande manifestazione della storia d'Italia per la pace. Per sapere il numero dei partecipanti c'è il solito balletto di cifre che ognuno poi fa sue a secondo le convinzioni politiche. Resta importante il fatto visivo, il fatto percettivo, il fatto che tutto ciò è sorretto da una sana forza morale e onestà intellettuale: contro la guerra sempre. In attesa di sapere qualcosa dalla piazza S. Giovanni, ci raggiungeva in serata una notizia televisiva e radiofonica: in serata era avvenuta l'elezione di Miss Padania; si saprà che a quella manifestazione di bellezza erano presenti Bossi come mattatore, il ministro Castelli, Tremonti con altre tante personalità della politica di destra, a chiudere Formigoni, presidente della regione Lombardia, con il sindaco di Milano Albertini e il consigliere di amministrazione della RAI, Albertoni; forse quella era l'alternativa alla manifestazione della pace. Bellezza contro Pace? No. Noi pensiamo che tutte e due vadano di pari passo, non ci può essere una bella guerra, una bella pace invece sì. Allora di cosa blaterava Bossi? Vedrete che qualcosa succederà, forse anche la guerra ma chi la sostiene non sopravviverà.

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BANDIERE

Non c'è fine al peggio, così sembra con l'ultima sparata sulle bandiere della pace: sono antigovernative. E così una bandiera formata dai colori dell'arcobaleno con la scritta pace, diventa un simbolo "contro il governo"; quale governo? Ma certo quello della casa delle libertà, quello del polo di destra, quello che se ne frega del desiderio di pace che c'è nel paese. Così, da quando si è saputo che la bandiera della pace è contro il governo, ecco che non se ne riesce più a trovare nessuna nei negozi…Ritirate? No, tutte vendute; tutte acquistate per dare forza alla pace e alla democrazia. Ma la volontà popolare, non conta più? Quella volontà di gradimento, ogni volta ricordata dai sondaggi, dove è andata a finire? Schedateci tutti, schedateci ora; segnalateci come pacifisti fiancheggiatori di terroristi, con la bomba in mano sono altri.
Pubblicato sul IL SECOLOXIX Venerdì 21 febbraio 2003
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BUONA PASQUA AS SALAAM

Hamid non ha più le gambe, le schegge di una bomba americana gliele ha amputate. E' vivo il giovane Hamid, anche se non avrà più Saddam e la dittatura, lui non camminerà più sulle sue gambe. Lui quel sacrificio non lo avrebbe fatto per liberarsi; neppure Hasan: ha la sua famiglia decimata dal crollo della casa colpito da un missile "alleato". Uccisi due figli, la madre e la moglie, a Hasan è rimasto il figlio piccolo…ora non sa proprio che farsene della nuova libertà. C'è anche Tarek, giovane studente universitario iracheno, che conoscerà qualche marines americano, saprà di Fernandez che è venuto qui per liberarsi anche lui, da sé: aveva bisogno della cittadinanza americana e di un buono stipendio. Scambierà due parole in inglese con Durkin, un soldato USA ventenne che dell'Iraq non sa niente, non sa dei musei importanti per l'umanità e neppure cosa sono il Tigri e l'Eufrate. Eccoli i liberatori mandati da Bush. "Speriamo che vadano via presto come sono venuti i liberatori"- così pensa Mohamed venditore di bibite in un chiosco del mercato distrutto- "avremo da regolare molti conti tra di noi e gli americani non sanno nulla, non conoscono niente di noi". Ci sono anche i peshmerga, che non è una brutta parola ma sono i combattenti del PUK (Patriot Union of Kurdistan) ne sentiremo parlare parecchio nei prossimi mesi. La guerra ora si dice è finita, è vinta e si archivia tutto in fretta; sono finiti i bombardamenti, le battaglie campali, ma la guerra no, questa non è finita: l'odio e la vendetta continueranno a lungo…La guerra è questo. Tutto deve iniziare daccapo. Tutti hanno perso qualcosa. Gli ideali che devono sorreggere la libertà qui non ci sono: non c'è stato un 25 Aprile, non esiste un patto per la una Costituzione democratica; esistono dei vinti che la guerra non l'hanno mai fatta, l'hanno solo subita. In occidente intanto arriva la Pasqua che è un evento di salvezza; qui invece con il Corano si ricorda sempre la più bella cosa che è riconosciuta a Dio, il Dio come il Misericordioso, colui che perdona tutto. La pace, appunto esige il perdono e la sottomissione a Dio, la voglia di corrispondere alla sua volontà; i cristiani con la Pasqua interrompono un digiuno quaresimale che ha altrettanto valore di affidamento, qui a chi si affideranno? As Salaam, Buona Pasqua, che Dio sia con ognuno. Come sempre.
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CON LA GUERRA

La guerra l'abbiamo vista in TV all'ora di pranzo con il collegamento di rito del TG. Abbiamo visto i morti confusi nella polvere, abbiamo visto scoppi e fiamme con il cielo coperto di fumo nero. Per evitare quella guerra, ma anche tutte le altre, abbiamo digiunato, marciato, protestato, pregato, invocato, gridato, cantato, esposto bandiere, manifestato, scritto e disegnato ma non è servito a niente. Chi decide le guerre non ascolta certo la democrazia, dice di imporla sapendo che si può anche non rispettarla. Poi sapendo di vincere con una forza superiore, convincere i deboli a trovare ragioni di merito diventa facile, ma di sostanza no, quelle sono per motivi indicibili, materiali, di denaro e potere gretto. Ora allora tutti ad inneggiare alla libertà ma di chi e quale? D'accordo non c'è più un tiranno, e anche chi è contro la pena di morte forse il tirannicidio può tollerarlo, ma il resto che cos'è? Può un popolo divenire adulto con le bombe e il terrore? Può la fame, la miseria, fare desiderare tanti partiti? Tante belle opinioni sul futuro del proprio mondo? Che assurde domande, ci fanno dimenticare che è l'ora del digestivo…E si può cambiare canale, fra poco inizia lo spettacolo musicale. Ora a me viene in mente una canzone di Giorgio Gaber: Si può… "Si può, far discorsi convenzionali, si può, con il tono da intellettuali, si può, dare al mondo un messaggio giusto, si può, a livello di Gesù Cristo si può. Contro il gran numero di ideologie che noi abbiamo rifiutato l'unica grande invenzione davvero efficace e che ci piace è questa dittatura imposta dal mercato. Si può, siamo liberi come l'aria, si può, si può, siamo noi che facciam la storia, si può. Ma come? Con tutte le libertà che avete, volete anche la libertà di pensare?".