Aziz

No, non è di qui; lo si diceva subito vedendolo, aveva lo sguardo allucinato e perso forse è malato si aggiungeva poi, invece era sanissimo: era Aziz, il poeta.
Un quaderno sotto la camicia era la cosa a lui più cara: c'erano le sue poesie. Una me l'hai letta e diceva: "Ti hanno rubato le braccia e gli occhi; ti hanno rubato il tamburo e tagliato le tasche e nel buio per incanto hai cominciato a cantare".
Parlavi del tuo paese lontano e chi ti conosceva era felice di scambiare alcune parole. Le sue erano arabe, giusto non di qui!
Un caffè con lui era un rito, non era la "tazzulilla" di Napoli ne l'espresso da consumare e via, era un caffè lento condito da sorrisi e sguardi profondi.
Era Aziz, la nostalgia, il profugo fuggito ai fondamentalisti. Era Aziz, poeta di poesia dell'altro mondo, poeta di suoni ora che le parole sono straniere: suoni che ricercano la cadenza in una mischia di pensieri.
I cavalieri arabi sono lontani come la sua casa. Roma, Genova, Torino sono luoghi di un cammino ininterotto, storie nomadi dopo l'Islam. Lo stesso passaggio tra le tribù in luoghi deserti, storie nomadi prima dell'Islam.
Ciao Aziz se fuggirò anch'io sarò come te. Clandestino, nomade porterò un quaderno bianco su cui scriverò i nomi delle persone che incontrerò, dei tanti luoghi, delle tante tribù; Intanto ho scritto il tuo nome: da te sono arrivato con la tua fatica e la tua poesia. Grazie Aziz.
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